Interviste

10° Intervista al M° Giuseppe Perlati

KARATE DO APR/MAGG/GIU 2009 NR 14

Gentilissimo Maestro Perlati,
colgo con piacere la “provocazione” sulla sua rubrica di Karate-Do. Trovo le sue riflessioni giuste e sensate. Per la riuscita di un dialogo ci vuole il confronto, altrimenti che dialogo è.
Per poter dissentire però bisogna avere personalità, argomentazioni e soprattutto conoscenza e a me certamente quest'ultima manca sicuramente.

Una questione però la voglio sollevare, quella che mette in relazione il Karate-Do (il nostro Karate-Do), con il riferimento all'ammissione del Karate come disciplina olimpica da una parte, e la grande capacità formativa ed educativa che la nostra pratica insegna. È innegabile e sotto gli occhi di tutti che alcuni aspetti della nostra disciplina contrastano totalmente con la pratica troppo sportivizzata che alcune organizzazioni continuano a sostenere.

Ora, io sono fermamente convinto, che le competizioni siano importantissime, anch’io sono stato un agonista per diversi anni, seppur scarso, e so che certe condizioni, certi limiti fisici e psichici che la competizione e la preparazione alla gara sanno creare sono utilissime, uniche e difficilmente proponibili in allenamento, ma noi sappiamo benissimo che il Karate non è solamente la gara. Semmai è la gara che può essere una componente importante del Karate-Do. Di quel Karate-Do che un Maestro ha definito un grande albero dagli innumerevoli rami di cui tutti i praticanti dovrebbero conoscerne il tronco principale. Un albero con delle radici fortemente radicate al suolo, di cui si conosce solo l'inizio ma non la fine.
Io credo che l'inserimento del Karate ai giochi olimpici, che anche noi con l'unificazione per tanti anni abbiamo cercato, sia la peggior disgrazia che ci possa capitare. Il Judo seguendo questa strada è stato completamente snaturato dei principi didattici e filosofici che erano presenti negli insegnamenti del Maestro Jigoro Kano.

Spero vivamente che la Federazione non segua questo percorso, ma pur mantenendo le competizioni come una parte, più o meno importante, del proprio insegnamento, prosegua su di un’altra strada approfittando degli insegnamenti che il Maestro Shirai in questi anni ci ha trasmesso, con il suo splendido lavoro sui Bunkai Kata e sulla difesa personale con il Goshindo.
Lo so che qualche amico comune sarà già pronto a bollarci come “trogloditi” o come “Oss! Man con la sindrome del Bushido”, ma a mio avviso solo così, insistendo con coraggio sulla formazione di nuovi insegnanti capaci non solo di allenare ma soprattutto di formare individui capaci e consapevoli, sapendoci adattare a diverse situazioni ed esigenze, operando maggiormente con le scuole, con le amministrazioni comunali e ottenendo da questi dei riconoscimenti riusciremo a dare un’immagine ancora più professionale della FIKTA e un futuro più prospero al suo (nostro) Karate-Do.

Le chiedo scusa per essermi dilungato ma, non essendo abile nello scrivere, ho sempre

l’impressione che alcuni concetti non arrivino a dovere. Tra le varie mancanze ho anche quella dell’incapacità di sintesi.
Le auguro una buona e serena giornata.
Luca De Marino

Carissimo Luca,
innanzi tutto ti ringrazio per la tua gentile risposta: finalmente! Finalmente mi sono detto, qualcuno che impegna un po’ del suo tempo per un dialogo che, secondo me, è la premessa per il futuro del Karate che stiamo praticando. Nel merito, concordo con te che il Karate alle Olimpiadi, salvo miracoli che stento ad intravedere, sarebbe un fatto molto negativo.
Lo sarebbe perché, come ho già scritto, le logiche dello sport olimpico sono anni luce distanti dal Karate.
La logica del Karate sarebbe, anche come disciplina sportiva, la ricerca continua di prestazioni eccellenti, sia nel kumite che nel kata; la logica dello Sport Olimpico invece è che sia spettacolare e facilmente comprensibile, con un arbitraggio che sia universale avendo regole mediate che accontentino tutti e che, di conseguenza, non accontenterebbero nessuno.
Non solo, la logica dello Sport Olimpico è che sia redditizio in termini di visibilità, del commercio di attrezzature, ecc… per coinvolgere gli sponsor ai quali interessa solo il Karate come veicolo per lauti guadagni.
Purtroppo assisto anche ad un lento ma costante deterioramento delle motivazioni che spingono molti tecnici alla pratica del Karate.
Tutti noi dovremmo sempre ricordare “perché” abbiamo iniziato, quali erano le motivazioni, le aspettative, i “sogni” che ci hanno fatto intraprendere una disciplina così dura ma altrettanto ricca di soddisfazioni.
Occorre prestare molta attenzione altrimenti l’interesse lentamente si indirizza principalmente all’aspetto agonistico fuorviando anche i giovani atleti. Oggi una percentuale altissima dalle nostre energie e risorse è rivolto alle competizioni (penso di non esagerare se dico che siamo verso il 90%).
Fortunatamente abbiamo il Maestro Shirai che ci riconduce sempre, rigorosamente, alla pratica, pur dando una grandissima importanza all’agonismo, come mezzo ma non come fine.
Conosco tanti tecnici che affermano di condividere questi principi per poi perdersi in discussioni interminabili sulle regole di gara e sull’arbitraggio dimenticando, ad esempio, che criticare o denigrare un arbitro di fronte all’atleta non fa perdere credibilità solamente all’ufficiale di gara incriminato ma a tutto il corpo arbitrale e di conseguenza alla Federazione e, in ultima analisi, anche a se stesso, distruggendo nell’atleta un aspetto importantissimo: la fiducia. La fiducia è importantissima per progredire.
Sapere che puoi contare sull’aiuto degli altri, che tutti si muovono nella stessa direzione, che la costanza viene premiata, che tutti abbiamo le potenzialità per migliorare e raggiungere i nostri obiettivi si può sintetizzare in “fiducia”. Io ho fiducia, e come me altri Maestri, che il “sogno” che mi ha spinto a fare Karate diventerà “realtà”, anzi, per quanto mi riguarda lo è già diventata ed ho già un altro “sogno” del quale comincio ad intravederne già la realizzazione. Grazie ancora ed anche a te buona e serena giornata….. sperando che qualcun altro intervenga sulla questione.