18° Intervista al M° Giuseppe Perlati
KARATE DO APR/MAGG/GIU 2011 NR 22
Gentilissimo Maestro Perlati,
sono una mamma, lettrice di Karate do, ho accompagnato mio figlio all'ultimo CAMPIONATO
ITALIANO di Salsomaggiore e faccio una riflessione. Il campionato ha cui ho assistito
mi è sembrato un po' caotico e lungo, dagli spalti si notava parecchia confusione
attorno ai quadrati di gara, conclusione: io ed i miei parenti abbiamo capito veramente
poco di quali sono le regole dello svolgimento. Inoltre, è possibile che mio figlio
abbia avuto il controllo alle 10 del mattino ed iniziato a gareggiare alle 15.30?!
Secondo lei c'è un modo per migliorare l'organizzazione di gara? Grazie. Franca
da VICENZA
Gentile Signora Franca,
fortunatamente non ha visto il Campionato che si è svolto nel 2010 altrimenti anziché
inviare una lettera cortese avrebbe protestato calorosamente. A Salsomaggiore ci
sono state carenze soprattutto attorno ai quadrati di gara.
Ne abbiamo preso atto e sicuramente ciò non accadrà più.
A parziale giustificazione Le devo dire che molti maestri durante la gara si sentono
autorizzati a fare quello che vogliono e ad andare dove vogliono, creando così una
grande confusione a tutto danno anche dei loro stessi atleti.
Il personale di servizio è spesso inascoltato, a volte è trattato senza educazione
o con sufficienza, come se fosse presente per creare problemi anziché per cercare
di rendere la gara ordinata e piacevole. Comprendo maggiormente gli atleti perché,
concentrati nella gara, difficilmente hanno orecchie per sentire ciò che viene detto.
Il sistema al quale abbiamo pensato dovrebbe risolvere il problema per il prossimo
Campionato.
Anche per quanto riguarda gli orari, a Salsomaggiore abbiamo già migliorato rispetto
all’anno prima. Al prossimo Campionato dovremmo essere in grado di indicare approssimativamente
l’orario di inizio di ogni specialità, fermo restando che il controllo deve essere
fatto al mattino entro le 9.30 / 10.00 per conoscere l’effettiva presenza degli
atleti e poter programmare gli incontri della giornata. Le assicuro che cerchiamo
sempre di trovare le soluzioni migliori ma ci troviamo spesso a che fare con la
“botte piena e la moglie ubriaca”.
Gli impianti non sono sempre disponibili e a volte dobbiamo organizzare la gara
in situazioni difficili, Salsomaggiore ha una struttura perfetta: speriamo di poterla
utilizzare anche nel 2012. Tutti vorrebbero che le gare durassero un tempo ragionevole
ma gli stessi vorrebbero aumentare il numero dei partecipanti.
Da tempo stiamo cercando di avere orari indicativi dell’inizio delle varie specialità
ma le continue interruzioni degli incontri, per problemi di regolamento, ci rendono
difficoltoso fare delle previsioni credibili (un incontro di Jiyu Kumite può durare
da poco tempo a 7 minuti e oltre).
Il problema della comprensione delle regole da parte dei “non addetti ai lavori”
è risolvibile solamente utilizzando una sola pedana e dando spiegazioni, di volta
in volta, su quello che sta avvenendo ma occorrerebbe ridurre il numero degli atleti
partecipanti ad 1/10 di quelli attuali.
Spero che i prossimi Campionati soddisfino le esigenze dei partecipanti. Cordiali
saluti.
Sono un lettore di Karate do e papà di un bambino che pratica karate da una stagione.
In questo periodo mio figlio ha partecipato ad un paio di gare, ha vinto la medaglia
come terzo classificato ed era tutto felice e contento. Come di consueto abbiamo
ripreso la prova e a fine gara abbiamo scattato delle foto a mio figlio sul podio.
Un amico psicologo mi dice che questo tipo di competitività al bimbo non può che
fare male, noi genitori, così facendo, gli creiamo aspettative ed ansie. Lo stesso
Maestro di mio figlio ci dice che non è importante la competizione, ma che il bimbo
provi un'emozione. Volevo quindi un parere da un Maestro esperto come lei, per capire
qual è il giusto approccio a questa disciplina per i giovani. Antonello da Scorzè
Gentile Signor Antonello,
come in tutte le cose ciò che conta è l’equilibrio.
Non mi dice quanti anni ha Suo figlio ma, visto che lo chiama “bambino” suppongo
che sia ancora nella fase di pre-adolescenza.
Durante quell’età è importante che i genitori e gli istruttori invitino i giovani
alla partecipazione di manifestazioni che abbiano carattere più di gioco che di
competizione.
Anche la preparazione del giovane alla partecipazione è indispensabile perché il
bambino abbia piacere di trovarsi e confrontarsi con altri delle sua età ponendosi
come obiettivo la socializzazione anziché la competizione.
Purtroppo di solito sono proprio i genitori e gli istruttori a creare aspettative
e ansie nel bambino trasferendo su di lui le loro personali aspettative ed ansie:
ciò è dannoso.
Occorre tenere presente che i bambini sono sempre naturalmente in competizione tra
di loro durante le varie attività di studio, di gioco, ecc…, anche se a volte non
lo manifestano apertamente. Compito degli adulti è quello di prendere atto della
naturale predisposizione e cercare di guidarla verso la socializzazione, l’accettazione
dell’ “altro”, evitando che sfoghi in aggressività o violenza.
È evidente che se un genitore o un istruttore imposta la partecipazione ad una manifestazione
avendo come scopo l’effimero risultato della gara sbaglia obiettivo.
Se l’obiettivo è aiutare il bambino a crescere per meglio affrontare la vita nella
sua complessità occorre che gli venga fatto capire che la gara è un confronto importante
ma limitato perché può vincere solamente in quanto l’ “altro” è di basso livello
oppure perdere perché l’ “altro” è di livello sproporzionato al suo e che quindi
ciò che è importante è l’allenamento, l’impegno al quale il bambino si è sottoposto
prima della partecipazione: questo è il suo obiettivo, questa è la sua gara e questa
è la sua vittoria o la sua sconfitta.
Naturalmente non bisogna cedere alla tentazione di protezione assoluta del bambino
perché la vita è impietosa e sicuramente gli riserverà ansie e delusioni ma occorre
approfittare di situazioni stressanti per aiutarlo a comprenderle ed a gestirle
nel modo corretto.
Fortunatamente i bambini sono più saggi degli adulti e lo si vede soprattutto nell’integrazione
e nei rapporti con i bambini di altre etnie perché non fanno alcuna distinzione:
gli adulti dovrebbero imparare da loro!
Le racconto un episodio che conferma ciò che voglio dire.
Partita di calcio, il portiere si era precedentemente fatto male ad un braccio,
calcio di rigore.
Il giocatore tira il pallone con un colpo debole. Urla, invettive da parte dei genitori
e dell’allenatore che pretende spiegazioni dal bambino il quale candidamente risponde:
“ma il portiere si era fatto male, non potevo tirare un pallone molto forte”.
Fa bene il maestro di Suo figlio a dire che “non è importante la competizione ma
che il bambino provi un emozione”, anche se messa così è un po’ riduttiva.
La competizione è importante perché crea la possibilità di incontri, di confronto
con bambini di altre palestre e può essere lo stimolo per continuare la pratica.
L’emozione che il bambino prova non è sempre positiva soprattutto se non è stato
adeguatamente preparato.
Questo è il punto. Occorre un lavoro lungo e costante, sia dei genitori che degli
istruttori, per far si che il bambino accetti di partecipare ad una manifestazione
con entusiasmo e serenità perché la “sente” lui stesso come un momento ludico a
quale partecipare con determinazione ma, al momento stesso con la consapevolezza
di quello che viene definito il “saper perdere”: in questo modo l’emozione provata
sarà positiva.
Cordialmente.
Il Maestro Kase diceva : "Gara come gioco, fare per pubblicità".
Con questo riferimento vorrei iniziare la mia riflessione che porta inevitabilmente
ad una domanda molto semplice. Le gare nel karate sono davvero un momento importante
? Se pongo a Lei questa domanda è perchè vorrei avere un confronto di idee con una
persona che ritengo possa avere più esperienza di me. In cuor mio però una risposta
sento in parte di averla trovata e mi piacerebbe sapere il Suo punto di vista.
Mi chiamo Daniele, ho 25 anni e ho praticato tennis dall'età di 7 anni. Sono maestro
da due anni. Prima di diventare istruttore ho avuto esperienze agonistiche, sempre
in ambito tennistico.
Il mio incontro col karate avviene per caso all'età di 16 anni. E' subito un colpo
di fulmine. In 2 anni arrivo alla seconda arancione. Purtroppo a 18 anni sono costretto
a cambiare casa e mi trasferisco in un'altra città. Comincio l'università ma non
riesco a praticare in un dojo costantemente. Continuo ad esercitarmi da solo finchè
finalmente riesco a trovare una scuola di karate e pratico per quasi 2 anni arrivando
alla cintura blu. Avrei dovuto sostenere l'esame per cintura marrone ma decido di
interrompere il rapporto col mio maestro e di rinunciare a sostenere l'esame con
lui, poichè non lo ritengo la persona giusta dal punto di vista umano a giudicarmi.
Questa mia decisione prende forma quando comprendo che il mio maestro mi aveva dispensato
di grandi attenzioni solo per fini agonistici. Infatti io partecipavo a qualsiasi
tipo di allenamento ci fosse in programma poichè il mio desiderio era ed è quello
di praticare il più possibile. Nonostante ciò alcuni allenamenti cominciano a non
piacermi poichè l'attenzione è posta solo sulla gara, su come prendere i punti ecc.
Capisco che non è cosa che mi interessa e lo dico tranquillamente al mio maestro.
Il risultato è che vengo completamente messo da parte, le attenzioni che il maestro
mi dava prima sono crollate solo perchè non voglio fare allenamenti finalizzati
alle gare.
Di queste vicende purtroppo ho scoperto che ne esistono molte. Enzo Montanari nel
suo libro Karate Sconosciuto scrive : "I praticanti di karate tradizionale però,
sono quasi costretti a partecipare alle competizioni nelle quali, volenti o meno,
si gareggia per vincere, e nelle quali spesso il teorico reciproco rispetto è sostituito
da una meno altruistica esaltazione del proprio ego".
Lo sport che ho praticato per molti anni ( tennis ) mi ha insegnato molte cose,
mi ha trasmesso molti valori. Pertanto ritengo lo sport una componente molto importante
nella mia vita. Anche le gare che ho praticato nel tennis sono state un momento
importante per me. Ma il tennis è uno sport, il karate è un'arte marziale. A mio
modesto parere il karate come sport da combattimento perde il suo fascino. Il karate
mi ha affascinato e colpito nella misura in cui è concepito come metodo di integrazione
con l'universo.
Peter Payne nel suo libro Arti marziali scrive : "Mediante il semplice esercizio
fisico delle arti e delle tecniche marziali si giunge a sperimentare nel proprio
corpo e nelle proprie sensazioni un senso intuitivo del fluire, della complementarità
e dell'armonia, che costituisce una specie di saggezza". Io credo che le gare non
siano lo strumento migliore per favorire tale interpretazione di arte marziale.
Credo che la gara allontani il praticante da tale interpretazione e da queste sensazioni
di cui parla molto bene Payne. La ringrazio per l'attenzione e spero di ricevere
una Sua cortese risposta
Oss! Daniele Rossi
Gentile Signor Rossi,
La ringrazio della domanda perché mi da modo di riflettere su un punto molto delicato
della pratica del karate.
Quando negli anni 60 ho iniziato a praticare karate non era previsto un allenamento
specifico finalizzato alle gare.
Si praticava karate e si partecipava alle gare cercando di vincere, sia nel kata
che nel kumite, con la preparazione che ciascuno di noi aveva.
In quel periodo era chiaro che la gara era una sorta di verifica del proprio livello
e che il risultato era importante ma che era molto più importante fare bene karate
(i due aspetti non sempre coincidono).
Col passare degli anni le cose sono cambiate e una parte dei praticanti ha finalizzato
il karate alle gare (karate sportivo) mentre un’altra parte ha mantenuto come fine
il karate Do (karate tradizionale) ed ha continuato a partecipare alle competizioni
con lo scopo di verificare il proprio livello.
Sicuramente le gare hanno dei limiti dovuti ai regolamenti ed all’arbitraggio; sicuramente
il karate che viene applicato nelle gare non è un “karate vitale” ma come sarebbe
il karate tradizionale senza le gare?
Oggi i mezzi di informazione condizionano le opinioni e se fosse visibile solamente
il karate sportivo quello diventerebbe, per l’opinione pubblica, il solo karate.
Per esempio, quando assistiamo ad una gara di scherma pensiamo che quella sia “la
scherma”.
Alle Olimpiadi viene presentato il judo ed il taekwondo ed i giovani pensano che
quelle siano le sole forme di judo e di taekwondo.
Sono d’accordo che se un maestro di karate tradizionale programma gli allenamenti
esclusivamente in relazione alle gare commette un grave errore e, senza rendersene
conto, pratica karate sportivo e non tradizionale.
Però è altrettanto un errore pensare che le gare siano inutili affidandosi esclusivamente
ad una pratica pseudo-filosofica individuale e chiusa ad una esperienza che, pur
nella sua limitatezza, è pur sempre un confronto con altri praticanti ed è in grado
di aiutare a comprendere il proprio livello.
Per partecipare ad un gara occorre:
avere coraggio (che significa avere paura ma partecipare ugualmente), allenarsi
costantemente in modo duro e corretto, imparare l’umiltà di accettare il giudizio
di altri, imparare il rispetto dell’avversario (non in teoria ma in pratica), essere
sempre pronto.
Questo lavoro aiuta a capire meglio se stessi, i propri difetti, i propri limiti
e, in questo modo, a comprendere ed accettare gli altri esseri umani.
Tutto ciò fa parte dello scopo del karate tradizionale!
Occorre ricordare che la possibilità di partecipare alle gare ha un limite temporale
(attualmente 35 anni d’età) dopo di che la pratica continua ma con un bagaglio di
esperienza alle spalle molto importante anche se non indispensabile.
Ho cercato di sintetizzare il mio pensiero sulle gare con uno schema allegato a
questa risposta.
Dalle origini, che si perdono nella storia, si è arrivati a Okinawa per poi passare
in Giappone, fino ai giorni nostri nei quali convivono due modi di intendere il
karate: uno fine a se stesso (sportivo), l’altro con un obiettivo centrale che deve
portare a “KU”.
Parallelamente al filone centrale vi è la pratica agonistica, per un tempo limitato,
che deve riportare sempre alla linea centrale per proseguire la strada fino a “KU”.
Base di tutto ciò è la pratica, seguita dalla pratica e che termina con la pratica,
sotto la guida costante di un Maestro che abbia chiaro l’obiettivo.
Il Maestro Kase non ha mai detto che le gare sono inutili ma ha sempre sottolineato
che non sono il fine del karate.
Concepire il karate come metodo di integrazione con l’universo è certamente affascinante
e possibile ma occorre che l’integrazione avvenga attraverso la pratica e non utilizzando
il pensiero razionale: anche le gare, se finalizzate al “KU”, possono aiutare.