16° Intervista al M° Giuseppe Perlati
KARATE DO OTT/NOV/DIC 2010 NR 20
Alla c.a. Redazione KARATE-DO E al M. Perlati
OGGETTO: Scissione FIKTA-JKA
Buongiorno, mi chiamo Sergio Ravella e sono il tecnico della società Bushido di
Bagnolo in Piano (RE). Vi scrivo per chiedere direttamente al M. Perlati la cortesia
di darmi alcune delucidazioni in merito alla scissione in atto all’interno della
Fikta, con delle figure di alto livello che stanno per passare alla JKA. Nella riunione
tecnici Emilia Romagna di 2 settimane fa abbiamo assistito ad una discussione in
merito alla impossibilità, da parte dei tecnici che decideranno di seguire la corrente
JKA, di continuare a svolgere delle attività con il Maestro Shirai.
Io non so bene come stiano esattamente le cose, a parte le lettere che ci sono arrivate
tempo fa sulle quali veniva annunciata questa novità, però resto un po’ perplesso
nel verificare lo stato di disinformazione che ad oggi circonda questa situazione.
In particolare crea sconcerto l’impossibilità, da parte dei tecnici che decideranno
di passare alla JKA, di continuare a fare delle attività con la Fikta. E’ possibile
sapere quali sono le motivazioni di tale decisione? Probabilmente in JKA passeranno
alcuni tecnici che sono in Fikta da tantissimi anni e hanno dei ruoli importanti
nella federazione, sia a livello regionale che probabilmente nazionale. Com’è possibile
che la Fikta decida di separarsi in modo netto da queste persone? Sempre che sia
la Fikta a volere questo. Nel caso sia la JKA a non permettere il dualismo, capisco
ancora meno le motivazioni.
Spero di essere riuscito a spiegarmi chiaramente sulla questione.
Ringrazio la redazione e il M. Perlati per il tempo che deciderà di dedicare a questa
mia richiesta di informazioni.
Cardiali saluti Sergio Ravella
Gentilissimo Sergio Ravella,
purtroppo quando leggerai questa mia risposta i giochi saranno già fatti e ciascuno
avrà fatto la sua scelta.
Mi preme comunque spiegare come si sono svolti i fatti negli ultimi anni per cercare
di chiarire il perché di una presa di posizione della FIKTA nei confronti della
JKA Italia e dei suoi membri.
Quando è stata costituita la JKA Italia (io sono uno dei membri fondatori) il progetto
era condiviso dalla FIKTA.
Lo scopo era quello di formare, all’interno della Federazione, un gruppo di praticanti
selezionato per raggiungere due obiettivi: riallacciare i rapporti con la JKA di
Tokyo, che si erano interrotti da diversi anni, ed avere un modello di praticanti
che fossero l’esempio del karate Shotokan trasmesso dalla JKA di Tokyo, il fiore
all’occhiello del karate italiano portato nel nostro Paese dal Maestro Shirai.
Il progetto avrebbe dovuto essere compiuto senza creare problemi all’interno della
FIKTA ma cercando di mantenere la serenità e gli equilibri che con pazienza si erano
andati concretizzando negli anni.
Tutto è andato bene fino al 2007 ma, purtroppo, negli ultimi anni le cose sono cambiate.
Come certamente saprai, durante l’ultimo anno, sono state inviate diverse circolari
federali ufficiali per cercare di evitare che i malumori che serpeggiavano all’interno
delle due Organizzazioni degenerassero fino a diventare irrimediabili.
Le circolari portavano la mia firma ma erano l’espressione di decisioni del Consiglio
di Presidenza e del Consiglio Federale, da me pienamente condivise.
Oltre alle circolari federali, da oltre due anni, io stesso, in prima persona e
direttamente con gli interessati (Maestri Naito, Bianchi, Conte, Sedioli, Ghedini
e altri), in più occasioni, invitavo ad evitare affermazioni che potevano creare
delle fratture nei rapporti tra le diverse componenti della FIKTA.
Principalmente i punti sui quali insistevo erano tre:
In primo luogo doveva essere chiaro che la FIKTA è una Associazione di Società Sportive,
che le stesse devono essere rispettate da tutti, che devono rispettarsi tra di loro
essendo tutti membri dello stesso organismo, fondato per perseguire lo stesso scopo.
Punti di riferimento delle Società Sportive sono i Maestri che non possono essere
classificati, in buoni o cattivi, onesti o disonesti, sinceri o falsi, fedeli o
infedeli, creando delle divisioni, dei gruppi, delle fazioni in contrasto tra loro
per delle immotivate ragioni frutto solamente di atteggiamenti, parole, interpretazioni
del tutto personali.
Se all’interno della FIKTA ci fossero dei Maestri da censurare per il loro comportamento
esisterebbero delle procedure, previste dallo Statuto e del Regolamento Organico,
per comminare loro delle sanzioni che potrebbero arrivare fino alla radiazione.
In secondo luogo i Maestri hanno degli allievi che hanno portato da cintura bianca
a cintura nera (e oltre), con impegno, sacrificio, capacità ed il rapporto Maestro-
Allievo è basilare nella disciplina che stiamo praticando.
Chiunque, in qualsiasi modo, compie azioni o dice cose che possono incrinare il
rapporto di fiducia che si è instaurato in anni di lavoro tra il Maestro e l’Allievo,
crea un danno irreparabile e deve essere decisamente censurato.
Ogni comunicazione, proposta, invito, avrebbe dovuto passare assolutamente tramite
il Maestro e non essere rivolta direttamente all’allievo.
La frase “parlane con il tuo Maestro” è odiosa perché racchiude in sé una grande
ipocrisia in quanto mette il Maestro nella condizione di accettare o di entrare
in conflitto con l’allievo a causa di lusinghe o proposte che sono state fatte direttamente
all’allievo.
Infine se il progetto JKA Italia è stato sempre condiviso il tutto doveva essere
concordato con la FIKTA.
Intendo dire che la FIKTA, dalla sua fondazione, ha impegnato risorse, ha lavorato,
con il contributo disinteressato di tutti, alla formazione di quadri dirigenziali,
di tecnici, di ufficiali di gara, di atleti che rappresentano il patrimonio della
Federazione.
L’utilizzo di membri della FIKTA per le attività JKA Italia, anche se finalizzato
ad un progetto condiviso, avrebbe dovuto essere concordato preventivamente in modo
da non creare problemi a livello territoriale o nazionale, invece si è operato per
un proselitismo individuale senza rispettare la Federazione.
Il rispetto per la FIKTA non bastava enunciarlo a parole ma doveva essere concretizzato
nei fatti.
Nonostante i ripetuti inviti, e nonostante che sia stato più volte affermato che
proseguendo sulla strada sbagliata si sarebbe arrivati alla rottura, questi tre
punti non sono stati rispettati e la Federazione è stata costretta a prendere la
dolorosa decisione di dovere fare una scelta.
Comprendo benissimo che molti praticanti dovranno compiere una scelta anche se non
ne hanno colpa ma la domanda deve essere rivolta a chi ne è responsabile: “Perché
avete agito in questo modo e non avete ascoltato i consigli della FIKTA costringendoci
oggi ad una scelta della quale non abbiamo alcuna responsabilità?”
Come ho scritto, quando leggerai questa mia risposta i giochi saranno fatti e non
so se la JKA Italia avrà colto l’ennesimo invito della FIKTA a sedersi ad un tavolo
per trovare le soluzioni più idonee a risolvere i problemi delle varie realtà e
per cercare di superare l’obbligo della scelta.
La FIKTA l’invito l’ha fatto più volte ma la JKA Italia l’avrà accettato?
Comunque io la vedo così: se davvero la FIKTA veniva prima di tutto, se davvero
era la “madre” di tutti, come più volte è stato detto, allora non sarebbe stato
necessario fare una scelta ma tutte le Società avrebbero dovuto aderire alla FIKTA,
dopodiché la JKA Italia avrebbe potuto chiedere alla Federazione, ed al Maestro
Shirai per primo, come risolvere il problema e come procedere per il futuro avendone,
in quel caso, tutti i diritti in quanto membri della FIKTA.
Se cosi non sarà stato significa che una cosa sono le parole e un’altra cosa sono
i fatti.
Ancora oggi, mentre scrivo, mi giungono notizie che autorevoli membri della JKA
Italia spargono la voce che nel 2011 si potrà essere tesserati alla FIKTA e partecipare
all’attività JKA Italia.
Significa mancanza di rispetto per il Maestro Shirai, per il Consiglio di Presidenza,
per il Consiglio Federale, per i maestri della FIKTA, sapendo bene che chi si comporterà
in modo ambiguo sarà espulso dalla Federazione, non tanto perché svolge attività
con la JKA Italia ma per un comportamento non consono ai principi del karate tradizionale.
Non mi dilungo su altri punti che, con troppa disinvoltura, sono stati propagandati
e che hanno toccato i sentimenti di molti, me compreso, del tipo “il futuro del
karate”, “la figura del M° Shirai”, “il futuro della FIKTA”, per non farmi coinvolgere
in una sterile polemica.
Auguro alla JKA Italia i migliori successi perché sarebbe sempre positivo per il
karate italiano ma mi permetto di consigliare di non dimenticare di guardare bene
dove si mettono i piedi mentre si è intenti ad osservare l’obiettivo che ci si è
prefissato perché ci si può inciampare o fare del male a delle persone.
La maggior parte delle donne neofite, ma anche uomini, vengono a chiedere informazioni
alla mia palestra per un corso di difesa personale dicendo: “con i tempi che corrono...”.
Difficilmente partono con l'idea di fare karate. così, per non “perderle”, istruiamo
chi sta alla reception nel dire che karate e difesa sono la stessa cosa, oppure,
proponiamo dei corsi di difesa per poi prospettargli il karate.
domanda: “perché, secondo lei, tante persone vengono e chiedono della difesa personale
e non del karate tradizionale?
Noi maestri/istruttori come dobbiamo comportarci? come possiamo far capire al neofita
che i corsi di difesa personale, basati sullo studio di poche tecniche o leve, servono
a poco o niente?
Inoltre, Le chiedo se conosce qualche pubblicazione in merito che possa servire
a chiarire questo dilemma a noi insegnati e a tutti gli “addetti ai lavori”. in
realtà io stesso, dopo tanti anni di pratica, sento di non saper spiegare bene la
relazione karate-difesa personale...
Francesco Segato
Carissimo Segato,
negli anni ‘60 e ‘70 questa domanda non sarebbe stata posta in quanto a quei tempi
era scontato che il karate fosse, come è, una disciplina nata allo scopo di sapersi
difendere, a mani nude, da uno o più avversari, anche armati.
Per questo veniva, e viene, chiamato: arte marziale.
Purtroppo negli anni successivi la componente sportivo-agonistica ha preso il sopravvento
e, pur continuando a chiamarlo karate, è stato in parte snaturato riducendolo ad
un numero limitato di tecniche spesso inutili ed inefficaci finalizzate solo alle
gare.
Meglio sarebbe smettere di chiamarlo karate.
Qualcuno dice che il danno di immagine del karate ha avuto origine dall’avvento
delle competizioni che fino agli anni ’50 non erano previste.
Io penso che il danno sia stato creato da chi ha strumentalizzato il karate, approfittando
della sua larga diffusione, impostando regolamenti e allenamenti esclusivamente
in rapporto con le gare.
Sono fermamente convinto che l’agonismo sia una fase importantissima e determinante
per la formazione di un giovane karateka che aspira a diventare un maestro di karate
ma tutta l’impostazione della competizione, in ogni suo aspetto più peculiare, deve
essere improntata alla verifica del proprio livello e non solamente alla conquista
di un titolo.
Il livello della gara è la base: se il livello è basso la competizione è inutile.
Oggi, fatte le dovute distinzioni, si assiste a una moltitudine di campionati: mondiali,
internazionali, nazionali, regionali, di club che danno una immagine del karate
che il karate non merita.
Tutti possono partecipare, tanti portano a casa una coppa o una medaglia ma il risultato
è effimero ed illusorio.
Questo è il punto: l’illusione!
L’illusione la fa da padrone in tanti aspetti della vita e molti ne approfittano
per avere dei “clienti” nelle palestre.
Ma il mondo và così è tempo perso andare contro la corrente.
Come si può convincere una persona che non basta una pillola per risolvere i danni
procurati al proprio fisico da anni di alimentazione e di stile di vita scorretti?
Come si può convincere un giovane che per avere successo nella vita occorre impegnarsi
a fondo quando quotidianamente gli viene proposto di saltare tutti i passaggi e
di vendere il proprio corpo per avere visibilità, notorietà e denaro senza ricordargli
che pochissimi ci riescono e la stragrande maggioranza si illude arricchendo gli
illusionisti?
Come si può convincere qualcuno che tutto ciò che cresce in fretta altrettanto in
fretta muore? Gli alberi ne sono un esempio inascoltato!
Come si può convincere un genitore che è meglio proporre ai propri figli poche cose,
studiate e praticate profondamente, piuttosto che fargli fare di tutto galleggiando
sulla superficialità quando gli è stato inculcato che “monotematico” è negativo
e non si accorge che tutti quelli che hanno avuto successo nella vita erano, e sono,
“monotematici”?
Ciò che resta da fare per le persone oneste, con se stessi e con gli altri, è continuare
su una strada seria e costruttiva proponendo pratiche utili al fisico e alla mente
badando bene a non illudere nessuno.
Il maestro di karate deve, distinguere e avere sempre presente, ciò che si “deve”
fare da ciò che “conviene” fare.
Ben venga la promozione di un corso di autodifesa ma facendo poi praticare il karate
tradizionale che ha in se tutto quello che serve per l’autodifesa ma che richiede
un allenamento duro, costante e sotto la guida di un bravo maestro.
Inoltre è necessario molto tempo perché non basta apprendere delle tecniche ma occorre
saperle usare e, soprattutto, occorre modificare il proprio atteggiamento mentale
nei confronti di una aggressione ed in particolare nei confronti delle paure che
ciascuno di noi ha dentro di sé.
Di libri che parlano della relazione karate/difesa personale ce ne sono tanti e
quasi tutti dicono le stesse cose anche se spesso, purtroppo, si ricade nell’illusione
che basti iniziare un percorso per sentirsi appagati e convinti di avere raggiunto
l’obiettivo.
Ciò che posso consigliare è di studiare qualche trattato sulla “paura” perché è
dalla paura che scaturisce la violenza.
Da parte mia ho provato a sintetizzare per i neofiti ciò che penso dell’autodifesa:
non è la soluzione ma spero che ti possa aiutare.
Un gran numero di scuole autodefiniscono le discipline che praticano con termine
di “Arte Marziale” senza che queste ne abbiano le caratteristiche. Il termine viene
usato perché è di moda e per attirare nuovi adepti i quali, illudendosi, si trovano
a praticare delle tecniche e delle metodologie che nulla hanno a che vedere con
le “Arti Marziali”. Ciò vale anche per il termine “Autodifesa” che viene interpretato
normalmente come una serie di tecniche, più o meno sofisticate, da utilizzare nei
confronti di uno o più aggressori con o senza armi. Da questo punto di vista un
“corso di autodifesa” non serve assolutamente a nulla, anzi, può essere molto dannoso
in quanto potrebbe generare nel praticante una falsa sicurezza delle proprie capacità,
non corrispondente alla realtà, e quindi, metterlo, quindi, in condizioni di estrema
pericolosità di fronte ad una eventuale aggressione reale. La possibilità di “autodifesa”
dipende dall’equilibrio tra corpo, mente e stato emozionale. Questo equilibrio si
può ottenere solamente attraverso un allenamento costante, intenso e protratto nel
tempo delle tecniche fisiche e mentali proprie di un’ Arte Marziale, come il Karate
Tradizionale, e mantenute una volta raggiunto lo scopo.
Il consiglio che ci permettiamo di suggerire a quanti si accingono alla pratica
di un “Arte Marziale”, ed in particolare ai genitori che intendono avviarvi i propri
bambini, è di verificare che la scuola prescelta abbia le seguenti caratteristiche:
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Proponga lo studio di una sola disciplina per volta: chi insegna un po’ di tutto
fa solo perdere tempo e non insegna nulla.
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La disciplina proposta sia stata praticata, profondamente e costantemente, per almeno
una decina di anni: nelle Arti Marziali “presto e bene” non si conciliano.
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La disciplina sia stata acquisita attraverso l’insegnamento di un Maestro riconosciuto,
il quale, a sua volta, l’abbia appresa da un altro Maestro di grado elevato: il “fai
da te” nelle Arti Marziali è pericolosissimo sia per il corpo che per la mente.
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La scuola deve essere affiliata ad una Organizzazione Nazionale riconosciuta in
campo internazionale e diffusa su tutto il territorio: il confronto con altri praticanti
è indispensabile per progredire nella conoscenza.
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La scuola deve avere degli obiettivi a lungo termine per portare il praticante ad
alti livelli e non solamente a risultati limitati, immediati ed effimeri: il karate
si pratica tutta la vita”.