20° Intervista al M° Giuseppe Perlati
Quando il sole volge al tramonto anche le ombre dei nani si allungano.
Caro Maestro Perlati,
Non è la prima volta che ho l’onore di essere chiamato in causa (e citato con nome
e cognome) da Lei. Questa volta si tratta della Sua replica al mio articolo Nostalgia
di Fesika (Karate Do n.23). Prima di tutto mi spiace di averla innervosita, ma al
tempo stesso mi chiedo perché pensi che valga la pena di replicare se, come si legge
tra le righe, giudica le riflessioni espresse dagli intervistati a livello di “chiacchiere
da bar sport”. Immagino e spero che ci sia un comitato di redazione che valuti se
un articolo meriti o meno la pubblicazione su KarateDo, e so per certo che alcuni
collaboratori della rivista non sono iscritti alla Fikta: do quindi per scontato
che il Suo intervento sia quello di un lettore esperto e non la “voce ufficiale”
della federazione. Fatta questa premessa, e prima di entrare nel merito del Suo
articolo, vorrei ricordare, non certo a Lei, che mi occupo di editoria marziale,
gratuitamente e per passione, dai primi anni 80: sono stato direttore editoriale
di Yoi (ottenendo all’epoca il riconoscimento ufficiale della EAKF) e successivamente
redattore e co-fondatore di Karate Oggi, oltre che collaboratore di KarateDo e di
Samurai. Credo di poter affermare, senza paura di essere smentito, che in questi
trent’anni non ho mai deflettuto di una virgola dalla mia posizione “ideologica”:
la difesa intransigente dei valori del “nostro” karate, anche nel decennio travagliato
della cosiddetta “unificazione” con la Fik. Altrettanto intransigente sono però
sempre stato nel rifiuto di un giornalismo “ufficiale”, “inamidato”, “federale”,
secondo il quale tutte le gare sono splendidamente organizzate e a tutte le decisioni
ufficiali si risponde solo con un “Oss”. Per me un conto è il dojo, un altro conto
la federazione, un altro conto ancora un giornale. Quando ho pensato che una notizia
fosse interessante, l’ho pubblicata, senza chiedermi se fosse “scomoda”. Il maestro
Naito esce dalla Fikta? Perché far finta di niente? Tanti atleti vivono il doloroso
dilemma di dover scegliere fra due insegnanti ai quali sono affezionati: è un argomento
tabù? Un centinaio di praticanti ed ex-praticanti parlano tra loro della vecchia
Fesika, discutendone pregi e difetti e sognando di ritrovarsi: qual è il problema?
Il limite maggiore del Suo articolo, secondo me, è quello di giudicare un po’ sommariamente
coloro che non hanno condiviso le scelte (politiche, non tecniche) del gruppo di
cui Lei ed io facciamo tuttora parte. Davvero tanti maestri “hanno perduto l’entusiasmo”
per colpa propria, e non per scelte federali subìte e non condivise? E’ davvero
sufficiente rammentare loro che “la Fikta è qui! Il Maestro Shirai è qui, nella
Fikta!” come fa Lei, per convertirli sulla via di Damasco? Io certo apprezzo la
Sua fiducia incondizionata nel Maestro, ma vorrei ricordarLe che la parola d’ordine,
nel 1979, era “entriamo nel CONI”. C’è da stupirsi che qualcuno dei “vecchi” (come
Montanari, Demichelis, Tammaccaro) non ne fosse così entusiasta? E c’è da stupirsi
che al contrordine del 1889 (“Rifacciamo la nostra federazione”) qualcun altro sia
rimasto di là? Cosa accadrebbe oggi se ci fosse un nuovo dietro-front? Non credo
che le nostre “perdite” siano dovute a mancanza di stima verso il M° Shirai o alla
priorità data “all’aspetto fisico-atletico”; molti praticanti e maestri non trovano
agevole scegliere tra la coerenza alle proprie convinzioni e l’obbedienza a direttive
che non riescono a comprendere e condividere. Oggi certamente, come dice Lei, sotto
tanti aspetti, “pratichiamo un karate che è avanti anni luce rispetto a quello di
30 anni fa”, ma a questa crescita tecnica e spirituale non sempre corrisponde la
capacità di richiamare ed entusiasmare nuovi praticanti, come accadeva invece negli
anni della Fesika. E’ vero, il sole volge al tramonto per la nostra generazione,
ma è un po’ supponente immaginare che i “nani” si trovino tutti dall’altra parte!
Sergio Roedner
Caro Sergio,
dopo aver ricevuto la tua lettera ti ho cercato per parlarti ritenendo che si trattasse
di considerazioni personali inviate direttamente al sottoscritto.
Come sai ci siamo sentiti il 6 c.m., proprio mentre ero all’aeroporto di Roma, ed
ero convinto che ci fossimo chiariti.
Ci sono rimasto molto male quando, qualche giorno dopo, mi è stato comunicato che
la tua lettera era pubblicata su un sito a me del tutto sconosciuto.
È proprio questo che non mi piace: l’uso scorretto di un mezzo straordinario come
internet, la pubblicazione di notizie che, se non vengono smentite, diventano verità
anche se gli interessati non sanno dove e quando sono state pubblicate.
Ho già avuto modo di dirti che io sono per un giornalismo completamente libero di
esprimersi ma che prima di tutto occorre conoscere nel dettaglio i fatti dopo di
che qualsiasi critica costruttiva, utile a migliorare, è ben accetta. Per gli associati
alla FIKTA non solo è un diritto criticare ma lo ritengo un dovere perché solo in
questo modo si può fare meglio.
Ogni volta che mi hai interpellato sono stato completamente disponibile ma non sono
disposto a relazionarmi con chi, senza conoscere i fatti, parla di ipocrisia, di
vergogna, o ci invita ad andare dallo psichiatra (non mi riferisco a te ma a quelli
che tu indirettamente supporti).
A questo punto devo rispondere pubblicamente alla tua lettera.
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“Replico” e sono costretto a rispondere anche alle “chiacchiere da bar sport” perché
me lo chiedono dei membri della FIKTA e lo faccio direttamente, mettendoci la faccia,
inoltre ritengo dannosa per l’immagine della Federazione la diffusione di notizie
approssimative, soprattutto per i giovani praticanti.
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Sul giornalismo “ufficiale”, “inanimato”, “federale” ti ho già risposto. Per esempio,
come tu sai, hai spesso criticato il kumite shiai della FIKTA senza conoscerlo e,
quando sei stato autorizzato a filmare il Campionato Assoluto, ti sei ricreduto,
complimentandoti con il Maestro Shirai e con me. Forse se ti fossi informato prima
avresti evitato commenti inopportuni.
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Il rapporto FIKTA – JKA Italia non è mai stato un “tabù” dato che per almeno 2 anni
abbiamo mandato circolari federali sull’argomento ed io personalmente ne ho parlato
con tutti quelli che mi hanno interpellato, anche con te.
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Non è un problema se si parla della vecchia FESIKA (Federazione Sportiva Italiana
Karate) che, tra l’altro, io conosco bene cosi come conosco bene tutta la sua storia
ma non apprezzo chi ha nostalgia per il passato e, soprattutto, quando si fanno
affermazioni del tipo “capacità di richiamare ed entusiasmare nuovi praticanti,
come accadeva negli anni della FESIKA!” Meglio sarebbe indicare “come” richiamare
ed entusiasmare anziché fare affermazioni generiche. Per inciso ti comunico che
ho ricevuto i complimenti di Luigi Zoja per il protocollo con la FIJLKAM e mi ha
ringraziato, a nome di suo padre Giacomo Zoja, perché siamo riusciti a realizzare
il suo sogno: penso che il Dott. Giacomo Zoja ne sapesse qualcosa della FESIKA.
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Non “giudico” mai nessuno ma esprimo pareri “sommari”, senza “stupirmi”, per chi
ha delle opinioni e fa delle scelte avendo una conoscenza “sommaria” dei fatti (posso
esprimere anch’io delle opinioni?).
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Confermo che una buona parte di praticanti non segue il Maestro oltre l’aspetto
“fisico-atletico”. La “stima” è legata alla “fiducia” che non significa affatto
“obbedienza”. Per “comprendere” occorre “informarsi” e per informarsi bisogna “chiedere”.
Questo tipo di praticanti è lo stesso che afferma che il maestro va rispettato in
palestra ma che fuori è una persona come le altre mentre dovrebbe sapere che in
palestra il maestro deve essere sfidato e al di fuori deve essere onorato.
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Non ho mai pensato che i “nani” si trovino tutti da una parte. Ognuno di noi può
essere un “nano” dipende dal suo atteggiamento. Comunque, chi non si sente nano
può leggere la frase al contrario: “attenzione, quando l’ombra dei nani si allunga
significa che il sole sta volgendo al tramonto”.
Colgo l’occasione per chiarire alcuni concetti
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È improprio parlare di karate tradizionale e di karate sportivo. Tutti pratichiamo
karate sportivo ma può essere finalizzato ai principi della tradizione oppure più
indirizzato alla prestazione ginnico-atletica nelle competizioni: in questo caso
è più corretto il termine “karate moderno” (vedi M° Nishiyama: “due sport, uno tradizionale
uno moderno”). È ovvio che, se non basta il battesimo per essere dei buoni cattolici,
non basta la tessera FIKTA per essere un buon praticante di karate tradizionale.
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Partecipare agli stages è inutile ed illusorio se non è legato al proprio Maestro.
Lo so anch’io che ognuno è maestro di se stesso ma per sapere se uno è pronto a
fare a meno di un maestro lo può verificare dallo sviluppo tecnico e mentale dei
propri allievi e, soprattutto, dal comportamento personale: se non rispetta gli
altri non è pronto. A questo proposito, per favore, informa i tuoi amici del web
che la partecipazione agli stages è consentita solo ai tesserati perché così è stabilito
dalle nome fiscali, in caso contrario è attività commerciale, e che non si tratta
di una chiusura settaria. La FIKTA ha sempre lasciato ampia libertà chiedendo solamente
di essere informata per evitare contrasti tra i membri della FIKTA stessa. Credo
che nessun maestro sarebbe contento di sapere che un suo allievo ha partecipato
ad una gara o ad uno stage senza parlargliene, almeno per educazione.
Anche per quanto riguarda la presenza di spettatori agli stages informali che esistono
delle leggi sulla sicurezza che impongono specifiche modalità se sono previsti spettatori
e che non si tratta di tenere segreti gli allenamenti ma di evitare procedure impegnative
nell’organizzazione degli stages stessi: prima di parlare sarebbe opportuno conoscerle.
Beppe Perlati